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VALIGIE VUOTE​

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Venerdì 28 gennaio, io e la mia classe, accompagnati dalla nostra insegnante Bergamaschi, siamo scesi al piano terra della scuola per ammirare il lavoro fatto dalle classi Terze in occasione della Giornata della Memoria.

Arrivati, la prima cosa che balzava all’occhio, era un binario che dava l’idea di allontanarsi e rimpicciolirsi sempre di più. Attaccata al muro, al di sopra del binario, c’era una striscia di carta piena zeppa di fotografie di persone sopravvissute al campo di concentramento, come ad esempio Liliana Segre e accanto tante altre foto in bianco e nero di gente magra, sporca e affamata, tutti con la stessa uniforme a strisce orizzontali bianche e blu.

Poi delle valigie; valigie antiche, aperte e ammucchiate una sopra l’altra, precipitosamente svuotate, come se derubate da qualcuno in precedenza.

Alla sinistra del binario c’erano poi tante scarpe, tutte diverse, anche il quel caso disordinate e ammucchiate perché nel campo di concentramento toglievano tutto, anche le scarpe e si andava a piedi nudi.

Vicino all’istallazione, anche se non ne faceva parte, c’era un piccolo barattolo di vetro chiuso con all’interno una rosa bianca e nera che sembrava bruciata, ricoperta di filo spianto.

Dentro al barattolo c’erano anche delle minuscole valigie e 2 farfalle arancion

Sulla ringhiera della scala erano attaccati dei cartelli con i scritti i nomi dei principali campi di concentramento come Dachau e Auschwitz.

Infine, posto sotto la striscia di fotografie, era presente un sasso sporco di sangue con la scritta “Auschwitz”, mentre sparsi nel corridoio c’erano cartelli fatti sempre dalle classi III e II con scritto sopra l’acronimo di “SHOAH” in inglese.

In particolare ciò che mi ha colpito di più della rappresentazione, sono state le valigie vuote. Quando si parte per un viaggio nella valigia si mettono le proprie cose, sia essenziali sia quelle che contano di più per te. Quando le valigie sono state svuotate, saccheggiate e poi buttate dai tedeschi hanno perso la loro identità e utilità, come hanno perso la loro dignità e identità tutte le persone che sono state rinchiuse nel campo di concentramento.

Un altro oggetto che mi ha toccato è stato il barattolo di vetro che era come una grande metafora. La terra, il filo spinato e le valigie rappresentavano, secondo me, il campo di concentramento

Invece la rosa bianca e nera, che sembrava bruciata rappresentava la crudeltà di quel posto. Infine le farfalle, le uniche ad essere colorate, rappresentavano la speranza e il desiderio di libertà dato che sembrava volessero uscire dal barattolo per volare lontano.

Ho trovato questo lavoro molto interessante e originale, ma soprattutto importante perché anche nel nostro piccolo dobbiamo imparare a non dimenticare ciò che è accaduto anche se faccio fatica a pensare che certe persone abbiano potuto compiere atti così disumani.

Asia Casilli

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