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LA MUSICA NEI SEGNI

Da sempre mi sono chiesta cosa provassero le persone sordomute, ma soprattutto come si sentissero i bambini affetti da questa disabilità… Non riuscire a comunicare con il mondo esterno, se non attraverso dei gesti con le mani, credo sia molto complicato. Sapere che sono pochi quelli che conoscono la lingua dei segni, e che di conseguenza poche saranno le persone con le quali potranno relazionarsi.

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Ad oggi il mondo si sta muovendo da questo punto di vista, sta cercando di diventare molto più inclusivo rispetto ai secoli scorsi. Una delle prove più schiaccianti è proprio il coro “Mani Bianche”, che è la dimostrazione di un tentativo di inclusione anche in quei Paesi dove potrebbe risultare più difficile esserlo.

Il coro “Mani Bianche”, nato in Venezuela, ha questo nome proprio da una caratteristica dei suoi componenti: infatti tutti i bambini sordo muti che ne fanno parte indossano questi guanti bianchi, da qui ne deriva il nome. Il coro è diviso in due parti, una è composta da ragazzi dotati di voce, che di conseguenza cantano, l’altra parte comprende i ragazzi sordo muti che, attraverso l’armonia del loro gesti, riescono a trasmettere la bellezza della musica anche a coloro che non possono sentirla ma che possono immaginarla. Vedere quindi questi bambini e ragazzi così presi dalla musica, che tentano di superare qualsiasi ostacolo posto tra essa e loro, mi ha fatto capire quanto amore per la musica ci sia in questo mondo. Mi ha fatto apprezzare di più quelle qualità che diamo per scontate ma che qualcuno vorrebbe avere, e tenta di conseguenza di colmare quella mancanza con ciò che meglio gli riesce. 

Questo progetto dimostra che, con un po’ di forza di volontà, possiamo abbattere anche quei muri che si sono eretti tra noi e la musica. Credo sia commovente vedere la collaborazione e l’unione che si creano nel gruppo, il voler aiutare chi ha bisogno di aiuto. Perché non è da dare per scontato, molti sono i bisognosi di aiuto che non trovano un punto di riferimento. Fortunatamente questi bambini e ragazzi sono riusciti a trovare qualcuno in grado di integrarli, per non farli sentire fuori luogo.

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Il coro è la rappresentazione perfetta della frase “La musica unisce”, di un tentativo di inclusione. Possiamo vedere come basta poco per far sentire un bambino, piuttosto che un ragazzo, parte integrante di un gruppo. Dare un significato alla propria vita non è scontato, e sicuramente non è facile. Questi ragazzini, con l’aiuto di qualcuno che era già dentro al mondo della musica, sono riusciti a dare un valore alla propria vita. Quest’esperienza ci ha fatto capire che tutti quanti, indipendentemente da come siamo o dove viviamo, possiamo essere d’aiuto per qualcuno.

 

A parer mio è un’idea molto interessante ed innovativa. Si tenta di trasmettere l’amore e la bellezza della musica anche a chi non può sentirla, ma può viverla. Si tenta di fare arrivare la musica dappertutto, anche a persone alle quali sembra impossibile farla arrivare. Inoltre si dà un punto di appoggio ai bambini, perché alla loro età trovare un canale comunicativo è molto importante. 

 

Un altro progetto molto conosciuto è quello delle orchestre infantili e giovanili venezuelane. A parer mio, serve a dare un senso alla vita di questi ragazzi, oltre che una cultura. Il tutto è nato da una semplice azione: girare per i “barrios” e le “favelas” regalando uno strumento musicale ad ogni bambino. 

Vedendo poi il successo di quest’iniziativa, il numero di musicisti volontari disposti ad insegnare si è ampliato molto. Infatti è proprio grazie a questi ultimi se ad oggi ci sono moltissime orchestre: essi hanno messo la vita e la cultura di questi ragazzini, a loro ignoti, in primo piano, dedicandosi giorno e notte al loro apprendimento. Vediamo quindi quanto la volontà e l’impegno di questi musicisti, ma anche dei vari ragazzini “affamati di musica”, siano stati ripagati poi con la soddisfazione di un progetto ben riuscito. 

Questo progetto, sin da subito, ha attirato la mia attenzione. Immaginandomi la vita di questi ragazzini, alcuni miei coetanei, e il “panorama” che ogni giorno vedono e vivono, mi vengono quasi i brividi. Non so se si possa chiamare realmente vita, quella che gli abitanti delle periferie latine conducono. I bambini si abituano a sopravvivere, e non a vivere, devono combattere ogni giorno la cruda realtà che gli si presenta davanti.

 

Da tutte queste orchestre che si sono create col tempo, possiamo capire quanti talenti nascosti ci sono in certi bambini, talenti che, senza questo progetto, non sarebbero mai emersi. Questo è l’esempio che rappresenta tutti quei bambini talentuosi che però sono nati nella parte “sbagliata” del mondo, perché senza l’aiuto di chi può permettersi di sviluppare i propri talenti, molto probabilmente nessuno sarebbe mai venuto a conoscenze di ciò che quelle mani possono fare su uno strumento. Possiamo capire quanto siamo fortunati noi, perché non riscontreremo mai questo problema: non riuscire ad esternare i propri talenti, se non per volontà nostra. Invece in America Latina (e in molte altre parti del mondo), dove le priorità sono tutt’altre, emergere è mille volte più difficile. A meno che non ci sia qualcuno disposto ad aiutarti, riuscire a far affiorare il proprio talento è molto raro. Impariamo quindi, come dall’esperienza del coro, che non dovremmo dare per scontate molte cose, perché c’è chi vorrebbe vivere anche solo parte della nostra vita, ma il luogo in cui è nato non lo permette.

 

Se devo essere sincera, se avessi l’opportunità e la possibilità, mi piacerebbe, anche in piccolo, dare il mio contributo a questo progetto. Io so suonare abbastanza bene il pianoforte e so anche che, in confronto al talento di alcuni ragazzi, il mio non vale niente, però non nego che in futuro vorrei poter far parte, anche per poco tempo, di un gruppo di volontari che si dedicano all’istruzione dei bambini più piccoli e bisognosi. I bambini, sin da piccola, mi stanno a cuore, e vederli soffrire mi squarcia il cuore. Sarei disposta, se fosse possibile, a prendere il loro dolore e renderlo mio. Ed infatti è proprio per questo che vorrei provare, in futuro, a dare un appoggio a questi ragazzini, vorrei dar loro una passione, essere la luce nel loro mondo buio.

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Pensando al nostro Paese, io credo che la musica sia poco apprezzata dalla maggioranza. Essendo per noi una cosa che non ci è mai stata tolta, diamo la musica per scontata e banale, non apprezzandola come invece meriterebbe. Non abbiamo mai pensato ad essa come un canale di aiuto, non l’abbiamo mai interpretata come una possibilità da regalare a qualche ragazzo… Potremmo fare di più, ne sono certa. E non solo rendere la musica un aiuto, un appiglio, per chi ne ha bisogno, ma farla apprezzare di più anche a coloro che la sentono, ma non la ascoltano, non la “vivono”. La musica è viva, e noi dobbiamo solo capirlo, una volta capito impariamo ad amarla e a viverla.

Ora, nel mio piccolo, sicuramente presterò più attenzione anche al mondo intorno a me. Voglio diventare anch’io un sostegno per i bisognosi, voglio essere importante per qualcuno da questo punto di vista. Proverò anch’io, per quanto possa fare, ad essere più presente per tutti quanti, e ovviamente presterò più attenzione a tutte le forme di musica presenti nel mondo. Imparerò ad apprezzare e a vivere la musica in ogni sua sfaccettatura.


 

Un riscontro sicuramente positivo che si è sin da subito notato è il calo di violenza. Dando una passione, e di conseguenza un’occupazione con la quale intrattenersi durante la giornata, si è abbassato di molto il numero di persone propense alla violenza. Infatti le periferie di città sono da sempre identificate come il fulcro di atti illegali e violenze varie, ma ad oggi, grazie appunto alla musica e alla salvezza che essa rappresenta, sono molti meno i giovani inclini all'aggressività e alla violazione della legge. Appunto la musica è diventata una salvezza, essa occupa le giornate di questi ragazzi, tenendoli impegnati e legati ad essa. Quindi, oltre ad ampliare la loro cultura, la musica ha anche portato serenità nelle periferie.

Ecaterina Gidioi

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