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FUGGIRE O RESTARE?

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Kabul, 20 agosto 2021

L’articolo di Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera riporta un’immagine che riprende la disperazione del gesto che sono costretti a fare dei genitori pur di mettere in salvo il loro piccolo bambino.

Perché sono costretti a farlo?

Dalla loro espressione riesco a capire che sono in preda al panico e quindi, salvando il loro figlio e il suo futuro, si sentiranno più sicuri anche se non lo potranno mai essere fino in fondo. 

Non sanno se i soldati americani si prenderanno mai cura del loro bambino, ma la cosa importante è allontanarlo da “quell’inferno” e almeno provare a donargli una vita migliore perché riconoscono che ogni luogo sia migliore di quello per crescere un neonato. Un’altra cosa di cui non possono essere sicuri è se il bambino arriverà mai nelle braccia possenti del soldato armato; il muro alto e il filo spinato infatti rendono l’impresa ancora più ardua.

Come fanno i genitori ad essere così sicuri che il bambino non si impigli nel filo e muoia fulminato? Per non parlare dei talebani che sparano sulla folla per evitare che altre persone riescano ad oltrepassare quel muro, che divide il Bene dal Male, la Vita dalla Morte.

In tutto ciò, al centro dello scatto, c’è questo piccolissimo bambino che piange e si dimena, forse perché ha paura di questi grandi uomini armati e vestiti allo stesso modo, con dei giubbotti antiproiettile, occhiali da sole e caschi.

Quale bambino non sarebbe spaventato alla sola vista di quelle armi?

E perché i soldati sono armati, quando devono salvare la vita alle persone? 

Anche l’aria attorno alla piccola famiglia è molto tesa: si possono intravedere infatti altri bambini, un po’ più grandi, che piangono in braccio ai loro genitori abbattuti e non sanno come farli calmare. 

Questa situazione si è verificata l’estate scorsa a Kabul, capitale dell’Afghanistan, uno Stato povero e poco popolato, un “crogiuolo di etnie”. La situazione politica varia frequentemente: il governo attualmente è nelle mani dei talebani (movimento fondamentalista) che esclude le donne, ovvero non hanno più diritti e libertà. Queste non possono uscire da sole, devono coprirsi col burqa e non hanno diritto all’istruzione, come nel caso di Malala Yousafzai, donna attivista che è stata vittima di un’ingiustizia nel 2012. Era un giorno come gli altri, quando, mentre stava affrontando il tragitto che la portava a scuola, un talebano e la sua motocicletta bloccarono la strada allo scuolabus su cui si trovava appunto la giovane. Ad un certo punto il talebano salì sullo scuolabus cercando una persona di nome Malala: la ragazza alzò la mano coraggiosamente senza sapere le conseguenze. Il talebano armato a quel punto si avvicinò e con voce profonda le lanciò una minaccia, ovvero che se fosse ritornata a scuola il giorno seguente le avrebbero sparato. Malala però decise di non dare retta al suo avviso. Il giorno dopo la storia si ripeté senza però alcun danno, ma il terzo giorno venne colpita con un’arma da fuoco e portata d’urgenza in un ospedale e poi trasferita in Inghilterra. 

Anche Enaiat, il protagonista del libro “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda, ha vissuto una storia simile. La madre del ragazzino, per metterlo in salvo dai pashtum che volevano sfruttarlo come schiavo, lo ha portato a Quetta, città tranquilla, dove non l’avrebbero mai trovato. Per farlo però lo ha abbandonato, lasciandolo solo e indifeso, affidandolo a sé stesso e al suo destino. 

La stessa situazione la vedo quindi nello scatto che correda l’articolo iniziale, anche se credo che quello dei genitori sia stato un abbandono più dolce, seppur disperato, non potevano fare altrimenti.

Quindi, è meglio fuggire o restare?

In casi come quello di Enaiat fuggire diventa quasi una necessità perché se si rimane sicuramente non si può avere un futuro, un’istruzione, l’opportunità di avere un lavoro adeguato basato sulle proprie passioni, avere la possibilità di costruire una casa e una famiglia. 

Se invece si fugge si dovrà sicuramente ricominciare da capo, ma almeno si verrà rispettati. Proprio per questo se fossi una di quelle donne afghane, sceglierei di fuggire. 

Ma si può fuggire?

La risposta è no, i talebani non permetteranno mai questo, soprattutto se si è una donna, perché per loro è sempre inferiore e senza diritti.

Che differenza tra fuga e viaggio?

Un viaggio è caratterizzato da andata e ritorno, una fuga ha un biglietto di sola andata, senza ritorno.

Parvana, Gino Strada, Malala, sono tutti esempi di persone che hanno deciso di rimanere in luoghi che tuttora sono Paesi di guerra, rischiando la loro vita. 

Perché lo hanno fatto?

Difficile dare una risposta a questa domanda, perché quasi nessuno sarebbe disposto a cambiare le proprie abitudini per salvare persone, costruire scuole, rischiare per un futuro migliore, rischiare per diritti di bambini e donne, battersi per salvare il proprio padre come nel caso di Parvana, una ragazzina afghana a cui è stato portato via il padre perché possedeva dei libri proibiti. Parvana però non si è arresa e anche se ha dovuto cambiare il suo aspetto fisico per assomigliare ad un ragazzo, lo ha fatto per suo padre e per la sua famiglia. Dopo aver tagliato i suoi capelli e cambiato il suo modo di vestire si è trovata un lavoro, come tutti i bambini a quell’età.

Perché ci sono bambini che lavorano?

I bambini vengono sfruttati perché sono piccoli e non hanno ancora formulato un pensiero nella loro testa, hanno mani molto piccole e possono lavorare per ore e ore senza una pausa e per pochi spiccioli, senza mai lamentarsi. I padroni approfittano della loro situazione familiare per “spremerli” fino all’ultimo. 

Io non lavoro, o almeno non vengo sfruttata. Questi bambini vengono lasciati al loro destino, io invece ho più opportunità, occasioni e troverò i miei genitori e la mia famiglia sempre al mio fianco, qualunque scelta decida di intraprendere. Quest’anno mi sono trovata di fronte ad una decisione importante, forse la più importante per il mio futuro: scegliere la scuola secondaria di secondo grado.

Ho la possibilità di avere insegnanti, libri, materiale scolastico che, come ha affermato Malala durante il suo celebre discorso all’ONU nel 2013, possono cambiare il mondo ed io la penso esattamente come lei. Ci sono delle grandi differenze tra di noi; io mi sento molto più fortunata di questi bambini, perché ho tutto quello di cui ho bisogno per vivere una vita felice e forse ho anche fin troppo, loro invece sono costretti a lavorare per guadagnare solo per un pasto caldo. 

No, assolutamente no, io non sono così e allora perché loro lo devono essere?  Perché le famiglie sopportano tutto questo e come fanno?

Anche per queste due domande non posso formulare una corretta risposta, perché forse una risposta non c’è.

 

Gloria Nardi

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