La presa di Kabul è stata la terza presa di Kabul, capitale dell’Afghanistan, è avvenuta da parte dei talebani il 15 agosto 2021. Nel maggio 2021, infatti, viene avviato il ritiro dall'Afghanistan delle ultime truppe statunitensi e della coalizione NATO. In concomitanza con tale ritiro, le forze talebane cominciano ad attaccare il Paese e, il 15 agosto i talebani entrano nella capitale. I talebani avevano già governato l’Afghanistan dal 1996 al 2001 da cui poi erano dovuti fuggire per l'invasione dell'Afghanistan da parte degli Usa e della Nato, nell'ambito della guerra al terrorismo, seguita agli attentati dell'11 settembre 2001.
La caduta di Kabul ha provocato la fine della repubblica islamica dell’Afghanistan, che governava il paese dal 2004, e la restaurazione dell’emirato islamico dell’Afghanistan da parte dei talebani.
Ora la situazione in Afghanistan è molto tragica, muoiono molte persone, quasi tutte uccise, le donne perdono i loro diritti, molte imprese chiudono e molte persone rimangono senza un lavoro.
Una delle cose che più ci ha sconvolte mentre leggevamo alcuni articoli è come i Talebani trattino le donne.
Ecco alcune delle tante cose che alle donne è proibito fare.
Primo: le donne non possono andare a scuola. I talebani vietano alle studentesse di studia
re e alle loro professoresse di insegnare. E il rettore dell’università di Kabul ha annunciato che nessuna donna potrà frequentare l'Università di Kabul, almeno fino a quando "non verrà creato un ambiente islamico".
Secondo: le donne non possono lavorare. Infatti quando si presentano sui luoghi di lavoro si trovano davanti un esponente del nuovo regime che le invita a “tornare a casa”, facendo capire che il loro posto è lì, che devono fare solo le mogli e le madri e potranno uscire solo se accompagnate da un familiare maschio. Alcune donne imprenditrici hanno dovuto chiudere le loro attività.
Terzo: le donne nubili, anche molto giovani o vedove sono “inseguite”. I talebani le cercano casa per casa, con spedizioni spesso notturne, e minacciano i famigliari per trovarle e catturarle al fine di consegnarle in sposa ai loro mujaheddin (combattenti della guerra).
Quarto: le donne non possono praticare sport. I talebani vogliono dunque vietare lo sport alle donne perché non è necessario e potrebbero dover affrontare situazioni in cui il loro viso o il loro corpo non siano coperti.
Quando queste vittime designate della repressione del regime trovano il coraggio di protestare e scendono in piazza, come è successo a Kabul ai primi di Settembre, sono disperse con lacrimogeni, vengono picchiate dai talebani in mezzo alle strade, in alcuni casi sparano loro contro. Eppure queste donne scendono in piazza portando fiori ai talebani per chiedere il rispetto dei loro diritti. Ma i talebani sanno che esistono i diritti delle donne?
Noi siamo davvero fortunate perché abbiamo molte libertà, possiamo andare a scuola, possiamo uscire di casa, andare a fare la spesa anche da sole o con le nostre madri, non siamo costrette ad avere sempre un uomo che ci accompagni, possiamo giocare a pallavolo e vestirci come vogliamo (anche con i jeans, senza rischiare di essere uccise per questo come è successo ad una ragazza di vent’anni di nome Zahira); a noi tutte queste cose sembrano banali ma per le donne afghane non lo sono. Purtroppo noi spesso diamo per scontate le nostre libertà, a volte alcuni diritti ci pesano, non li consideriamo neppure diritti, ci sembrano doveri, come il fatto di avere un’istruzione e di venire a scuola.
Tutti al Mondo dovrebbero avere gli stessi diritti perché siamo tutti esseri umani allo stesso modo e non importa in quale parte del Mondo sei nato. È invece assolutamente ingius
to tutto quanto accade in Afghanistan e non dimenticheremo mai le immagini che abbiamo visto a fine Agosto quando alcune donne, evidentemente strappandosi un pezzo di cuore, lanciavano ai soldati oltre un filo spinato, oltre un muro i propri bambini con la speranza che potessero avere un futuro migliore. Un po’ la stessa cosa che ha fatto la mamma di Enaiatollah quando lo ha lasciato solo a Quetta, in Pakistan
Noi non possiamo nemmeno immaginare come sarebbe se un giorno i nostri genitori ci abbandonassero pur nella speranza per noi di un futuro migliore ma possiamo capire che per arrivare a compiere un tale gesto un genitore deve aver già cercato altre soluzioni e non averne trovato nessuna.
Ilaria Sanguanini e Irene Penotti IIIA
Redazione di Rivarolo Mantovano
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